La tela del ragno

C’erano una volta i Signori della Droga degli stati Shan, territorio birmano incuneato tra Thailandia, Laos e Cina, là dove il terreno è propizio alla coltivazione dell’oppio. Alcuni di loro, come Khun Sa, avevano assunto una dimensione quasi epica. Apparivano personaggi da Cuore di Tenebra. Spesso si ergevano a paladini di una causa etnica. Giustificavano i loro traffici con la necessità di finanziare un esercito che difendesse il loro popolo dagli attacchi di quello birmano. Poi presero il sopravvento le rivalità tribali tra i diversi gruppi, che al tempo stesso si contendevano il mercato dell’oppio, dell’eroina e della ya baa, la droga pazza, la micidiale metanfetamina che ha inondato l’Asia e ne ha incrementato lo sviluppo, permettendo agli uomini di sottoporsi a ritmi di lavoro da cavallo (questo era il nome originario, ya ma, droga da cavalli, a significarne la straordinaria potenza). Ad approfittarne furono i birmani, che, in perfetto stile “divide et impera”, proposero una tregua ai diversi gruppi. Molti accettarono, pensando di potersi concentrare sui più diretti avversari e accrescere i profitti della droga. Come fecero gli ex tagliatori di teste Wa (di origine cinese), acerrimi nemici degli Shan (di ceppo etnico thai), che divennero, secondo un rapporto della Cia, il più grande esercito di produttori e distributori di droga del mondo. Ma poi il governo birmano alzò la posta, chiedendo alle milizie che avevano accettato la tregua di entrare a far parte della Border Guard Force, le guardie di frontiera, alle dirette dipendenze dell’esercito nazionale. Al loro rifiuto ripresero con maggior violenza gli attacchi contro gli stati ribelli, giustificandoli come lotta alla droga. «Stiamo combattendo per voi (gli occidentali). Per noi la droga non è un problema» ha dichiarato il colonnello Hla Min, portavoce dell’SPDC (lo State Peace and Development Council, nome ufficiale dell'organismo con cui governa il regime militare birmano).
Secondo un rapporto dell’agenzia stampa Shan, con questa manovra l’esercito non sta combattendo la produzione e il traffico di droga. Cerca di sostituire chi li controlla. Approfittando della pressione esercitata sui gruppi etnici, ha costituito milizie locali (se ne contano 400 gruppi solo negli stati Shan del nord). Le milizie dividono coi militari i profitti della droga e li aiutano nella lotta ai gruppi etnici armati. In cambio ottengono protezione, impunità e facilitazioni nel business. Molti dei loro comandanti sono stati addirittura candidati alle prossime elezioni nelle liste dell’Union Solidarity and Development Party, il partito con cui la giunta cerca di ricrearsi un’immagine democratica. Sono stati definiti i “signori della droga politicamente corretti”.
La storia documentata nel rapporto dello Shan Drug Watch è solo l’ultimo filo di un’infinita ragnatela intessuta da ragni di ogni specie: gruppi tribali, guerriglieri comunisti e anticomunisti, Cia, mafia, ex militanti del Kuomintang, il partito nazionalista cinese, indipendentisti etnici. E’ una trama, in realtà, che risale a migliaia d’anni fa. Se non fosse tragica per le vittime che provoca in tutto il mondo, potrebbe apparire affascinante. Così accade, perché storicizzata, nel saggio di Pierre Arnaud-Chouvy, del Centre national de la recherche scientifique francese, specialista in geopolitica della droga: Opium.
Oggi il ragno è l’esercito birmano: tramite le milizie locali cerca di controllare il territorio nazionale e, con la diffusione delle droghe tra i giovani delle etnie autonomiste, operare una forma sottile di genocidio. Ma forse, proprio alla luce della storia raccontata in Opium, in cui l’oppio appare quasi come un elemento alchemico che sfugge al volere di chi cerca di controllarlo, anche i futuri governanti birmani cadranno nella stessa rete.

Per scaricare il rapporto dello Shan Drug Watch clicca qui

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