Kiniao Chic

C’è un termine thai che molti farang, stranieri, di passaggio a Bangkok sentono ripetere ma non sanno che cosa significhi: kiniao. A dirlo, mimetizzato da un eterno sorriso, sono le ragazze dei bar. Vuol dire tirchio. Da qualche tempo kiniao si è raffinato, è diventato uno stile di vita: il kiniao chic.
In tempi di crisi globale non è più di moda essere ricchi. Soprattutto è meglio non apparire tali. Anche qui, in un paese buddhista, dove la ricchezza non è considerata un peccato da espiare ma un segno di buon karma.
E così qualcuno comincia a lasciare in garage la Lexus con targa benaugurante – le targhe si possono comperare, e quelle in cui compaiono o si ripetono numeri di buon auspicio come il 7 costano migliaia di dollari – evita di esibire abiti griffati o orologi da 10.000 dollari. Si diffonde una moda shabby, trasandata, sdrucita, no logo. I ricchi cercano di proteggersi ingannando la povertà.
Per altri la crisi impone la necessità di riflettere su codici morali e sociali. Diventa sempre più forte il richiamo del “Buddhismo impegnato”, movimento che s’ispira agli insegnamenti del monaco vietnamita Thich Nhat Hanh e del thailandese Buddhadasa Bhikkhu. L’essenza della loro dottrina sta nel tentativo di connettere la purezza originaria del buddhismo ai problemi sociali contemporanei.
Oltre le mode e le tendenze culturali, però, il fenomeno potrebbe trasformarsi ancora. Nell’aria umida del sud-est asiatico, le prossime piogge sembrano cariche di presagi. C’è una minoranza per cui il kiniao è la divisa di una nuova casta di asceti-guerrieri. Per loro la crisi segna il crollo dell’Occidente e dei suoi valori, la democrazia innanzitutto. E quindi l’ineluttabile necessità di una rivoluzione culturale. Guardie Rosse e Khmer Rouge sono stati i primi modelli di stile kiniao.

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