Processi
18/05/09 13:55 Filed in: Dispatches
«La nozione di libertà individuale, di leggi, di tribunali era abolita». Lo ha dichiarato Kaing Guek Eav, alias Duch, il responsabile del centro di detenzione e tortura dei khmer rossi, che tra il 1975 e il 1979 materializzarono in Cambogia l’inferno terrestre.
Kaing Guek Eav, alias Duch, durante il processo
Dopo trent’anni Duch è il primo dei khmer rossi a essere giudicato da un tribunale internazionale per crimini contro l’umanità. Il processo, ripreso oggi a Phnom Penh, è molto discusso. Soprattutto perché esclude dal giudizio gli anni successivi al 1979, quando la Cambogia fu invasa dai Vietnamiti. Dopo di allora e sino al 1998, con la resa dell’ultimo bastione dei khmer rouge, i crimini contro l’umanità continuarono. Ma almeno questo processo c’è, e può essere un primo passo per altri giudizi storici. Quasi nello stesso momento in cui Duch rispondeva alla corte di Phnom Penh, a Rangoon iniziava il processo di Aung San Suu Kyi. Questo, invece, senza un perché. Se non la paranoia dei generali della giunta militare birmana. I mostri continuano a riprodursi e la storia si ripete. Trent’anni fa, per la logica della guerra fredda, l’Occidente continuò a ignorare i crimini dei khmer rossi. Oggi, in nome dei nuovi equilibri planetari, si limita a protestare contro l’arresto di San Suu Kyi e ignora le altre migliaia di detenuti politici. Forse tra trent’anni assisteremo a un processo internazionale in cui qualche esponente della giunta dichiarerà, come Dutch, che la libertà era abolita. Ma probabilmente nessuno comparirà alla sbarra come complice.
Kaing Guek Eav, alias Duch, durante il processo
Dopo trent’anni Duch è il primo dei khmer rossi a essere giudicato da un tribunale internazionale per crimini contro l’umanità. Il processo, ripreso oggi a Phnom Penh, è molto discusso. Soprattutto perché esclude dal giudizio gli anni successivi al 1979, quando la Cambogia fu invasa dai Vietnamiti. Dopo di allora e sino al 1998, con la resa dell’ultimo bastione dei khmer rouge, i crimini contro l’umanità continuarono. Ma almeno questo processo c’è, e può essere un primo passo per altri giudizi storici. Quasi nello stesso momento in cui Duch rispondeva alla corte di Phnom Penh, a Rangoon iniziava il processo di Aung San Suu Kyi. Questo, invece, senza un perché. Se non la paranoia dei generali della giunta militare birmana. I mostri continuano a riprodursi e la storia si ripete. Trent’anni fa, per la logica della guerra fredda, l’Occidente continuò a ignorare i crimini dei khmer rossi. Oggi, in nome dei nuovi equilibri planetari, si limita a protestare contro l’arresto di San Suu Kyi e ignora le altre migliaia di detenuti politici. Forse tra trent’anni assisteremo a un processo internazionale in cui qualche esponente della giunta dichiarerà, come Dutch, che la libertà era abolita. Ma probabilmente nessuno comparirà alla sbarra come complice.
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