Il Maestro sul Tetto

«Quando il discepolo è pronto, il maestro appare» recita un detto. Non so se sono pronto, anzi non credo. Ma il Maestro mi è apparso. Era poco prima del tramonto, sopra il Chao Phraya, il fiume che attraversa Bangkok, sullo sfondo la torre di una pagoda. Non che si librasse nel vuoto. Si trovava anche lui sulla terrazza fiorita che fa da tetto al Baan Chao Phraya, il grande, alto condominio dove abito.
Il Maestro si chiama Jackie Ho. Un nome che sembra finto, tanto suona da Maestro o riecheggia quello di Jackie Chan. Ma Jackie Ho fa il cuoco. Per la precisione è l’Executive Chef di tutta la cucina cinese del Peninsula Hotel, uno dei più lussuosi alberghi della capitale del Regno di Thailandia. In precedenza ha ricoperto lo stesso incarico alla stupenda China House, il ristorante dell’Oriental Hotel. Ha lavorato anche in Indonesia, in Cina e a Hong Kong, dov’è nato. E’ considerato un Maestro della cucina cantonese.
Ma non è per questo prestigioso curriculum che ho chiesto di diventare un suo allievo. Quella sera si muoveva veloce, concentrato, preciso e potente in una forma di kung fu. Gli ho chiesto se fosse disposto a insegnarmela e lui ha acconsentito. Quindi, stando all’antica regola, è divenuto il mio Shifu, Maestro. O quasi, dato che per utilizzare questo termine dovrei essere accettato “formalmente”, con tanto di cerimonia, quale suo allievo.
Solo in seguito gli ho chiesto qual era l’arte marziale che praticava. Si chiama Hung Fut Pai ed è uno stile che deriva, come tutti, da quello elaborato nel monastero di Shaolin. E’ poco noto, dalla storia incerta, almeno per chi, come me, non abbia la capacità di consultare testi cinesi. Il Maestro Jackie l’ha imparato a Hong Kong, da bambino. E ha continuato sempre a praticarlo. Secondo lui è il più efficace, anche per difendersi da banditi di strada, come gli è capitato. Mostra una cicatrice da coltello sull’avambraccio. «Ma sono finiti tutti per terra» dice ridendo.
Da quella sera è iniziato il mio percorso da allievo. Ogni mattino alle 8 vado sul terrazzo sul tetto. E aspetto. A volte il Maestro arriva e riprende a insegnarmi i passaggi della forma base dell’Hung Fut Pai – non so ancora quanti movimenti comprenda – più spesso non c’è e io provo a ripetere quelli insegnati la volta precedente, in genere con scarso successo. Tra noi c’è una specie di tacito accordo: non fissiamo appuntamenti, né giorni, né ore. Lasciamo decidere al caso, alle coincidenze. A volte manchiamo l’incontro per pochi minuti e lo scopriamo casualmente incrociandoci sul battello che va e viene da casa.
Secondo Jackie, per imparare quella prima forma ci sarebbe voluto un mese, ma solo dopo un mese ho capito che intendeva trenta lezioni. Il che significa che dovrà trascorrere molto tempo. Intanto è un modo per esercitarsi alla pazienza, per iniziare le proprie giornate con un impegno. Non importa se non si concretizza, ti dà l’occasione di godere degli ultimi momenti di fresco sul tetto prima che sia raggiunto dalle prime vampe di calore stagionali, smaltire le tracce del sonno e dei sogni, concentrarsi sul corpo, il respiro, il sangue che scorre, i piccoli dolori.
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Questa è una di quelle storie che nella tradizione giapponese (sì, spaziamo e contaminiamo le culture) si chiama zuihitsu, segui il pennello, facendo riferimento al fatto che i pensieri vi sono raccolti liberamente, facendo correre la mano che traccia i caratteri. Potrebbe essere paragonato a uno zibaldone o a una raccolta di pensieri sparsi che lascia ampia libertà all’autore. In realtà è un vero e proprio genere letterario (che prese forma nel periodo Heian, tra il 794 e il 1185 dell’Era Comune) e si riferisce a una raccolta di brevi componimenti in cui “le osservazioni e le riflessioni di chi scrive sono presentate con grazia stilistica”.
Grazia e stile a parte, questa storia è un pretesto per riflettere sulla casualità, sulle sorprese che ci riserva il mondo, tanto più in questa parte di mondo, dove il caso è inglobato nell’ordine naturale delle cose, fa parte di una trama. Insomma non è un caso.
E’ per questo che il Maestro appare.

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